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Premio De André per la Poesia. I versi non riconciliati di Irene Gianeselli

Giancarlo Visitilli firma l'articolo per Corriere della Sera - Corriere del Mezzogiorno il 02.07.2021


A quattro anni puoi conoscere la pace, se impari da subito la guerra. Quella delle parole e delle canzoni di Fabrizio De André, che fra nuvole, inverni e salme, ha sempre offerto il meglio di sé, per restituire quel che manca alla salvezza delle anime salve. Così è cresciuta Irene Gianeselli, che ha vinto il Premio De André, sezione Poesia. «La prima canzone di De André che ho imparato me l'ha insegnata mia madre, avrò avuto quattro o cinque anni. È La guerra di Piero, sempre attuale perché di guerre si continua a morire». «Ninetta mia a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio». La poetessa e attrice sostiene che pesa la targa del Premio De André, «pesa nella borsa che adesso sta al mio fianco sul treno che mi riporta a casa, a occupare il posto vuoto di un passeggero che non incontrerò, uomo o donna, chissà, io non lo saprò perché siamo distanziati e la mascherina ci copre il volto».


Ci si è dovuti adattare alla superficialità, spiega Irene, proprio il contrario di quelle parole, usate come fossero bombe che deflagrano buoni sentimenti. «Fabrizio De André mi ha insegnato a disertare in tempo di guerra e a lottare per ciò in cui credo, mi ha insegnato che il potere si scaglia dalle mani e che l'amore, quello vero, non ti sa e non ti può cambiare. Mi ha anche insegnato che sta a me scegliere e capire, sentire e decidere da che parte stare: cosa è bene e cosa è male?».

Tant'è che non è difficile, per l'attrice riconoscere che in ogni cosa che fa: «la Poesia è il midollo e l'anima di tutte le cose e a ventitré anni devo fare anche io i conti con Benedetto Croce. Sono una cretina o sono davvero Poeta?».


Irene ricorda i tempi della sua scuola, per prenderne le distanze. O meglio, da un modello di scuola. Perché è evidente che anche la poetica di De André le è arrivata attraverso lo studio, l'ascolto. Il sentimento. «Mi torna in mente il volto arido, sciapo di quella professoressa al Liceo che mi costringe a fare il compito di italiano, un'intervista impossibile a Dante Alighieri, spostando il banco accanto alla cattedra per controllarmi e mi torna nelle orecchie la sua risata acida mentre sull'autobus racconta ad altri studenti di questa sua alunna che scrive troppo bene per la sua età, chissà da dove ha copiato l'intervista impossibile, chissà da chi se l'è fatta scrivere e se non ha copiato e l'ha scritta lei deve essere una matta, una disadattata. Mi torna allo stomaco quella rabbia, quella delusione che mi fece ribellare all'epoca, quando con l'indice ossuto la giovane professoressa mi indicò alla classe dalla cattedra: "Sei un esempio didattico negativo!"».


Dal cantautore Irene ha imparato l'anarchia e la tenacia del pensiero: «non si mettono le mani nell'anima, nel cuore e nella mente di un giovane con la scusa di avere il compito e la missione di doverlo salvare da se stesso con le briglie e la museruola. Questo lo racconto perché so che ci sono sicuramente giovani appassionati e frustrati dal conformismo dei nostri giorni, non voglio essere d'esempio per nessuno, ma almeno posso invitare a credere, a credere e a distinguere, posso invitare a non tradirsi per niente e nessuno al mondo».


La poesia, la sua, per crederle: C'è un amore che mi ha chiesto un dolore uguale al mio a un amore così intero non vorrei mai dire addio perché solo l'amare, solo il conoscere conta.



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